giovedì 18 luglio 2019

Robert Wyatt - Ruth Is Stranger Than Richard (1975) Recensione

Dopo un indiscutibile capolavoro come Rock Bottom era praticamente impossibile tentare di ripetersi. La perfezione di quell'album fu frutto di tanti fattori, non ultimo l'aggiunto alone di emozione dato dall'ascolto dei pezzi associandoli alla situazione di Wyatt post-incidente (nonostante fossero stati composti prima, particolare che in molti sembrano convenientemente dimenticare), ed era quindi impossibile tirare fuori qualcosa di anche solo paragonabile tentando di andare nella stessa direzione. Fu così che Wyatt decise di fare un passo indietro e di non comporre nulla, dedicandosi invece a riarrangiamenti di lavori altrui, tra cui molti suoi amici e collaboratori di lunga data. In realtà c'è anche un brano composto da Robert, ma ci arriviamo più avanti.
Di certo quel che si nota in questo lavoro è una forte tendenza all'uso di sonorità jazz, certamente frutto dei collaboratori presenti, ed in generale un tono più brillante e meno cupo del precedente album. Già tenendo conto di tutti questi fattori penso sia ovvio quanto difficile possa essere fare paragoni tra due lavori che sembrano quasi stare agli estremi come metodo e risultato, ma ciò non ha certo evitato a Rock Bottom di gettare una ingombrante ombra su un album che invece meriterebbe perlomeno altrettanta pazienza ed attenzione, senza che esso abbia la presunzione di ambire alle stesse vette emotive, ma che anzi sembri distanziarsene volutamente.
L'album è suddiviso in due metà ben distinte, nominate Side Richard e Side Ruth (ciò spiega il titolo), e curiosamente l'ordine dei due lati sembra cambiare di versione in versione dell'album, con il Side Ruth molto spesso posto in apertura (come ad esempio su Wikipedia), mentre l'ultima versione su Cd pone il Side Richard in apertura. Ciò ovviamente finisce per cambiare di molto l'esperienza di ascolto, anche se come nel dettaglio è un fatto puramente soggettivo.
Basandosi quindi sulla versione in Cd, veniamo da subito accolti dalla prima parte di Muddy Mouse, un brevissimo e bizzaro brano piano e voce composto da Fred Frith su cui Wyatt canta nel suo consueto tono acuto un testo alquanto bizzarro. Il brano riaffiora tre volte nel primo lato, intervallato dagli altri brani, e solo nella sua terza ed ultima parte si evolve in Muddy Mouth, forse il brano più vicino a Rock Bottom sia per il suo inizio nel tipico stile canoro di Wyatt che tenta di imitare gli ottoni, sia per la natura più melodica della sezione che segue, sempre con solamente piano e voce. Nel mezzo troviamo dapprima l'unico brano attribuito al solo Wyatt, Solar Flares, che in realtà è un riarrangiamento della colonna sonora dell'omonimo film sperimentale di Arthur Jones del 1973. Il brano si regge su un'ossessiva base ritmica fatta di percussioni e sax, su cui Wyatt canta una melodia senza parole in unisono al piano. Il tutto si trascina verso un crescendo finale prima del suo graduale spegnimento. Dopo la seconda sezione di Muddy Mouse ecco invece 5 Black Notes And 1 White Note, riarrangiamento di Barcarolle di Jacques Offenbach. Un pezzo leggero come l'aria, quasi impalpabile nonostante la grande quantità di note al suo interno, con il solo "difetto", se vogliamo, di non andare mai veramente da nessuna parte, e di finire senza lasciare molte tracce. Dopo la già citata terza parte di Muddy Mouse che poi lascia spazio a Muddy Mouth, si passa al lato Ruth con quello che forse è il brano più tradizionale dell'album. Soup Song arriva dai tempi dei Wilde Flowers ed è accreditata a Wyatt e Hugh Hopper, allora con il titolo di Slow Walking Talk. Si tratta di un divertente boogie con testo geniale in cui protagonista che si ritrova tra gli ingredienti di una zuppa, ovviamente contro la sua volontà, e finisce per rassegnarsi al suo destino augurando però un bel mal di pancia a chi lo mangerà.
Segue Sonia, bel brano di Mongezi Feza dominato dai fiati e con una gran bella performance del suddetto alla tromba, tra le ultime prima della sua prematura morte a fine 1975. Certamente il picco del lato Ruth è Team Spirit, brano ad opera di Phil Manzanera che finirà anche nel suo Diamond Head con il titolo Frontera. Qui siamo di nuovo in territori jazz, con però una struttura più definita ed una bella parte cantata da Wyatt (come dimenticare la storpiatura di "kiss me Hardy" in "kick me Hardy"). L'apoteosi sonora centrale dove il sax di Gary Windo sembra combattere con tutti gli altri strumenti e varie ondate elettroniche è qualcosa di spettacolare. Interessante citare il fatto che Brian Eno, presente in svariate parti dell'album, è qui accreditato alla "direct inject anti-jazz ray gun", di certo un riuscitissimo modo di far riferimento alle tensioni che hanno caratterizzato la lavorazione dell'album, specialmente tra i jazzisti ed Eno, noto per essere piuttosto lontano da quel mondo.
L'album si conclude con un riarrangiamento di Song For Che di Charlie Haden particolarmente riuscito, che fa intuire il sempre crescente, e particolarmente importante di lì a qualche anno, impegno politico di Wyatt.
Vari fattori, tra cui l'allora insodddisfazione di Wyatt nei confronti di questo album, lo portarono ad allontanarsi dalla musica per quasi un decennio, salvo la pubblicazione di singoli a sfondo politico per l'etichetta Rough Trade nei primi anni '80, poi raccolti nell'album Nothing Can Stop Us, prima del suo vero e proprio ritorno con l'album Old Rottenhat nel 1985. Ruth Is Stranger Than Richard ha quindi l'onere di essere l'unico album solista di Wyatt negli anni '70 oltre a Rock Bottom (se escludiamo The End Of An Ear del 1970, lavoro così diverso da esser spesso visto come un episodio a parte), con tutto ciò che ne consegue. Qualunque album dopo Rock Bottom non sarebbe stato all'altezza, e la scelta di Wyatt di percorrere un'altra via usando principalmente materiale altrui ha perfettamente senso, anche perchè ciò comunque non impedisce al suo stile unico di affiorare in più parti, pur con risultati decisamente più solari e positivi dell'album precedente.
Ovviamente il risultato è un lavoro frammentario, privo dell'unità tematica e sonora di Rock Bottom, e così va affrontato, senza aspettarsi da esso ciò che non è. Una volta superato questo pregiudizio ci si trova di fronte un album di gran classe, con il consueto incontro-scontro di interessanti personalità ed ispirazioni, ed un approccio libero alla musica, tanto jazz quanto l'esatto contrario.

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