domenica 7 aprile 2019

The Apples In Stereo - Travellers In Space And Time (2010) Recensione

Creatura principalmente di Robert Schneider e parte di quella miniera d'oro che è l'Elephant 6 Collective, gli Apples In Stereo si sono sempre a grandi linee inseriti all'interno di un genere largamente ispirato al pop psichedelico degli anni '60 con una forte tendenza al lo-fi.
L'album in questione è invece forse il più vicino ad un'idea di pop radiofonico che se da una parte può far rabbrividire un certo tipo di ascoltatori, dall'altra riesce ad affrontare tutto ciò con una classe che manca totalmente al pop da almeno 35 anni.
Ad oggi l'ultimo album degli Apples In Stereo, Travellers In Space And Time in sostanza si tratta quasi di uno spudorato tributo all'Electric Light Orchestra, con brani che riportano subito alla mente il tipico suono della band di Jeff Lynne. Si parla del periodo che va da A New World Record a Time, passando per Out Of The Blue, Discovery e Xanadu; insomma la parentesi più "commerciale", quella con le puntatine nella disco ed il graduale processo di sostituzione degli archi con i sintetizzatori. Ed infatti questo Travellers In Time è ricoperto di sintetizzatori, vocoder, ritmi ballabili, con al centro la sottile ed acuta voce di Schneider. Elemento quest'ultimo che può fare uno strano effetto all'inizio, ma che non è difficile arrivare ad apprezzare dopo un paio di ascolti, proprio per via della sua particolarità.
Praticamente tutte le canzoni qui sono dei conglomerati di melodie contagiosissime, allegria, quel tocco di prevedibilità che però non sfocia mai totalmente nella banalità, ed in generale di tutto ciò che il pop potrebbe e dovrebbe essere.
Già da Dream About The Future si capisce benissimo dove l'album voglia andare a parare, con quei bellissimi cori in falsetto ed interventi di vocoder che sembrano riportarci a cavallo tra i '70 e gli '80 senza però sembrare "musica vecchia".  Hey Elevator continua a percorrere questa strada e ci porta ad un breve intermezzo di solo vocoder veramente particolare e divertente. Il singolo Dance Floor è indubbiamente il pezzo più famoso tratto da questo album, pur non essendo il migliore a mio parere, mentre la successiva C.P.U. è forse la più vicina alle uscite precedenti di questa band. Ritorna la tendenza disco in No One In The World, e si cita apertamente il riff di Do Ya degli ELO (prima ancora dei Move) in Dignified Secretary, ed il tutto con misurati ma riuscitissimi interventi di strumenti aggiunti come archi, fiati e clavicembalo (nella magnifica No Vacation ad esempio, che dal ritmo di Mr. Blue Sky prende vie inaspettate e combatte fieramente per il titolo di miglior brano dell'album).
Told You Once e It's All Right mantengono alto il livello, mentre Eric Allen interviene nella sua Next Year At About The Same Time e l'album scivola nel perfetto duo di Nobody But You, che guarda a Don't Bring Me Down degli ELO, e la semplicemente grandiosa Wings Away, dove si sente l'importante contributo di Bill Doss in una delle sue ultime uscite. La narrazione di Time Pilot chiude l'album donandogli una sorta di filo tematico, seppur molto superficiale.
Insomma quando ascolto questo album finisco a pensare a quali sono le potenzialità della musica pop più "semplice", e quante di queste non siano affatto sfruttate nelle uscite ascrivibili al suddetto genere negli ultimi decenni. E per colpa di ciò ogni cosa che viene  associata al termine "pop" finisce per far rabbrividire quella razza di ascoltatori più snob a cui il 4/4 sta come l'aglio ai vampiri. Come al solito, fare di tutta l'erba un fascio e/o suddividere ogni cosa per generi ben separati fra loro porta a perdersi tanta, ma tanta di quella magnifica musica che neanche ci si immagina.
Travellers In Space And Time ci regala 50 minuti di pura e spensierata gioia, e Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno oggi. Se esistesse.

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