mercoledì 20 gennaio 2021

The Beach Boys - Holland (1973) Recensione


Dopo un album particolare come Carl and The Passions - "So Tough" ed una serie di concerti in cui la nuova formazione porta la band ad una resa live mai raggiunta prima (e dopo, il tutto è documentato nell'ottimo album In Concert), per qualche motivo, a fine 1972, si decise di registrare il nuovo album in Olanda. Lo studio casalingo di Brian Wilson venne così smantellato e trasportato, pezzo dopo pezzo, nella cittadina di Baambrugge, dove la band passò un difficile periodo lontano dalle proprie famiglie a registrare gran parte del nuovo album. Brian era più assente che mai, e seppur contribuì effettivamente ad alcuni brani (con non poche difficoltà), la sua creatività confluì in un altro progetto, a cui arriveremo dopo. 

In Holland il suo marchio è presente soprattutto nel brano di apertura, oltre che il più celebre, Sail On Sailor. Quasi un'aggiunta postuma su insistenza della Warner Bros. che lamentava l'assenza di un potenziale singolo nel nuovo album. L'idea del brano partì da Van Dyke Parks, storico collaboratore di Brian ai tempi di Smile, il quale portò a Wilson la bozza del brano che svilupparono insieme, per poi portarla al resto della band, non prima di averla fatta passare per le mani di Ray Kennedy, Tandyn Almer ed il manager Jack Rieley. Alla fine la voce venne affidata a Blondie Chaplin, in quanto Brian non si presentò alle session e diede giusto qualche indicazione al telefono. Con il suo shuffle ondeggiante è probabilmente uno dei migliori brani di quest'epoca, oltre cha la conferma del ruolo di Blondie nella band, che ormai si è definitivamente allontanata dagli anni '60. Un ruolo centrale nell'album lo ha la cosiddetta California Saga, composta da tre brani, in gran parte opera di Mike Love e Al Jardine. Curiosa la scelta di inserire un'ode alla California in un album nato in Olanda, ma probabilmente si trattò di nostalgia di casa.

Il primo dei tre brani, Big Sur è opera di Mike Love, e si tratta di una versione rielaborata di uno scarto di Sunflower del 1970, seguito da The Beaks Of Eagles, forse la parte più controversa, in cui Love recita un poema di Robinson Jeffers, ed il tutto si risolve nell'altro brano discretamente noto dell'album, California Saga: California. Saltellante ed euforico brano corale di Al Jardine, contiene anche l'unico contributo alla voce solista da parte di Brian, seppur limitato alla prima strofa. Altrove l'album si fa più intenso, sfoderando di nuovo una incredibile doppietta di canzoni scritte da Dennis Wilson: Steamboat e Only With You. Entrambe saggiamente affidate alla voce di Carl Wilson, se la seconda è l'ennesima ballata malinconica tipica dello stile di Dennis (tra l'altro stranamente con un testo scritto da Mike Love), la prima è un piccolo capolavoro. Spinta dal pigro soffiare del suono di un motore a vapore, è un meraviglioso brano con spettacolari sequenze armoniche ed un arrangiamento che lascia a bocca aperta: forse la composizione di Dennis più vicina ai livelli più alti del fratello Brian. E se Chaplin e Fataar a sto giro si aggiudicano un solo, ottimo, brano, Leaving This Town (tra il folk ed il soul, con un inaspettato assolo di sintetizzatore nel mezzo), pur componendo anche We Got Love, poi esclusa, forse la più grande sorpresa è il gran ritorno del Carl Wilson compositore, che dopo le magnifiche Long Promised Road e Feel Flows in Surf's Up due anni prima, torna con The Trader. Introdotto dall'innocente "Hi!" di suo figlio, è un brano diviso in due metà, con la prima più spinta e la seconda più pacata; quello che fa Carl con la voce qui ha dell'incredibile, non come note, ma come intensità, e ciò aggiunto agli spettacolari interventi vocali dei compagni rendono The Trader un capolavoro ingiustamente ignorato da troppe persone. In chiusura c'è la controversa Funky Pretty, altro contributo di Brian che sembra anticipare lo stile di Love You del 1977, con il suo insistente synth basso. Brano che si ama o si odia, a parere di chi scrive è degno di nota perlomeno per l'arrangiamento particolare molto avanti per i tempi e gli interventi vocali a turno da parte di Carl, Jardine, Chaplin, Love e Fataar: una chiusura un po' più leggera di un album terribilmente solido ed intenso. Una conferma di ogni buona intuizione vista nell'album precedente, che purtroppo non avrà seguito visto l'abbandono di Chaplin e Fataar, il tanto celebrato "ritorno" di Brian e l'altalenante risultato di ciò nell'album 15 Big Ones del 1976, che, escludendo il successivo Love You (che poi è più un album solista di Brian che altro), segna l'inizio della fase revival della band ed il suo definitivo declino artistico. Meglio del precedente? Forse, in quanto permane la sensazione di esser di fronte ad anime diverse della stessa band, ma il tutto è più amalgamato, ci sono vari incroci non presenti prima (tipo Carl che canta i brani di Dennis, o Blondie in Sail On Sailor), ed in generale sembra evidente l'impegno da parte dei Beach Boys nel trovare una nuova identità. Questo rende ancora più difficile accettare i passi indietro che faranno di lì a poco. 

Dicevo all'inizio che la creatività di Brian Wilson confluì non tanto in Holland quanto in un altro progetto, ed ovviamente mi riferisco a Mount Vernon and Fairway (A Fairy Tale). Se si acquistava Holland all'epoca, si poteva aver la fortuna di trovare insieme anche un EP molto particolare, con al suo interno una serie di brevi tracce composte dal solo Brian, suonate interamente da lui con vari sintetizzatori a fare da sfondo ad una strana storia scritta da lui ma narrata da Jack Rieley. Ci sono alcuni interventi vocali sia di Carl che di Brian, ma si tratta di parentesi marginali. La musica è decisamente astratta, ed in parte richiama certe cose di Smile, ma in realtà è palese frutto di una mente confusa che ha ancora voglia di sperimentare ma non ha più le capacità di direzionare le intuizioni verso qualcosa di anche solo vagamente concreto (in questo senso, la radio a transistor magica perduta dal protagonista della storia sembra quasi essere una metafora dell'ispirazione di Brian). Da molti odiato, da altri apprezzato perlomeno come curiosità, Mount Vernon è forse la migliore rappresentazione di Brian in quel momento, con tutte le sue contraddizioni e fragilità, e seppur stilisticamente non c'entri praticamente nulla con Holland, si tratta di un ascolto irrinunciabile. 

                                          

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