domenica 10 maggio 2020

Harry Nilsson - Pussy Cats (1974) Recensione

Dopo una serie di album ottimi seppur diversissimi tra loro, la carriera di Harry Nilsson arriva definitivamente ad un punto di non ritorno. Se già dopo Nilsson Schmilsson del 1971, segnato dal successo di Without You e Coconut, Harry aveva preso direzioni non proprio commerciali, (dapprima con l'eclettico Son Of Schmilsson e poi con il primo album di cover di classici standard, che diventerà d'obbligo per molti interpreti solo nei decenni successivi, A Little Touch Of Schmilsson In The Night), qui la sua musica esce definitivamente dal mainstream.
Curiosamente ciò coincide con quella che forse per Nilsson pareva essere una collaborazione di grandissima importanza, una a cui ambiva da tempo ma neanche osava sperare: la produzione di John Lennon.
Lennon si trovava a Los Angeles, nel pieno del periodo lontano da Yoko Ono, il cosiddetto lost weekend, e Nilsson era diventato suo fedele compagno di bevute e bagordi. Harry doveva pubblicare un nuovo album, ma non aveva molte idee ed oltretutto l'RCA era intenzionata a scaricarlo. Da buon amico quale era, Lennon non solo si offrì di dare una mano con l'album, ma ebbe una certa importanza nella rinegoziazione del contratto con la casa discografica, facendo intendere alla suddetta che lui o altri ex Beatles potevano essere intenzionati ad entrarci a loro volta, cosa ovviamente poi mai successa. Fatto sta che ciò funzionò, ed i lavori per l'album iniziarono.
Purtroppo i bagordi iniziarono a presentare il conto a Nilsson, che finì per danneggiarsi le corde vocali, perdendo così gran parte della voce che tanto aveva fatto la sua fortuna fino a quel momento. Harry nascose il fatto a Lennon, fino a che lui lo scoprì e si arrabbiò non poco. La lavorazione all'album fu decisamente difficile, nonostante il grande spiegamento di forze utilizzate nelle registrazioni (Da Ringo Starr a Keith Moon a Klaus Voorman). Lennon così decise di ultimare la produzione a New York, lontano dal tossico ambiente di LA, e ciò che ne uscì fu un album quantomeno discutibile.
Quasi diviso a metà tra nuovi brani e cover, Pussy Cats risente fortemente dello stato della voce di Harry Nilsson, quasi quanto ne risente Dark Horse di George Harrison per gli stessi motivi. Il sound spectoriano dato da Lennon tende a cammuffare le pecche, ma ciò che manca sono anche un po' di brani veramente memorabili.
Per carità, la collaborazione compositiva tra Nilsson e Lennon in Mucho Mungo\Mt. Elga non è niente male, così come la cover di Many Rivers To Cross posta in apertura, cantata insieme da entrambi (tra l'altro con un arrangiamento di archi di Lennon poi ricalcato nella sua #9 Dream) e le ottime ballate Don't Forget Me (uno dei pochi episodi con un Nilsson dotato di voce), l'orchestrale Black Sails e Old Forgotten Soldier. Quest'ultima però risente pesantemente del deterioramento vocale di Nilsson, e l'apprezzamento o meno di questa interpretazione dipende da quanto la si voglia vedere come una sua immedesimazione nel ruolo del protagonista della canzone, appunto un vecchio soldato. Se invece si vuole sentire una versione cantata decisamente meglio a livello tecnico, si trovano in giro un paio di demo di qualche anno prima. Discorso simile per la cover di Save The Last Dance For Me, il cui demo pare essere una delle ultime registrazioni prima del tracollo vocale, mentre quella sull'album, pur essendo carica di fascino, risente della sua condizione. La particolare All My Life è forse uno dei picchi dell'album, mentre il resto lascia un po' il tempo che trova, lasciandosi andare in pieno in uno stile goliardico in cover come Loop De Loop, Subterranean Homesick Blues e Rock Around The Clock.
Un album di cui è difficile avere una chiara opinione, e che pertanto può oscillare tra l'ascolto piacevole, divertente e divertito e la sofferenza nel sentire le performance vocali di Harry, specie avendo in mente il suo passato. L'album è comunque vario, scorre discretamente, ma di fatto rappresenta la fine della fase più creativa della carriera di Nilsson, che, a parte qualche ottimo episodio sparso nei successivi tre album, avrà un ultimo sottovalutatissimo colpo di coda nel 1977 in Knnillsson.
C'è da dire però che Pussy Cats può guadagnare fascino se visto come un ulteriore tassello nella rappresentazione sonora di quel 1974 di Los Angeles, insieme a Walls And Bridges e Rock And Roll (almeno nella sua prima, scartata, versione) di Lennon, Two Sides Of The Moon di Keith Moon, Goodnight Vienna di Ringo Starr ed il bootleg A Toot And A Snore in '74. Quest'ultimo, per chi non lo sapesse, è la testimonianza dell'incontro tra Lennon e McCartney, che improvvisarono qualche brano insieme ad altri musicisti, tra cui Stevie Wonder e lo stesso Nilsson, proprio durante le sessioni di Pussy Cats.
Ma poi quanto è bella la copertina? Con Nilsson e Lennon insieme ed il gioco di parole sotto al tavolo D-Rug (tappeto in inglese)-S. Geniale.


 

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