martedì 7 gennaio 2020

Top 10 2010 - 2019

Siamo arrivati alla fine di questo decennio. Nonostante chi scrive viva felicemente nel passato, musicalmente parlando, ci sono effettivamente state svariate uscite interessanti in questi ultimi dieci anni. Qui tenterò di fare una specie di classifica comprendente quelli che hanno lasciato un segno. Ovviamente, anche se spero sia inutile specificarlo, si tratta di una lista personalissima, senza alcuna ambizione se non quella di, magari, invogliare qualcuno che legge a riscoprire qualche album qui presente.

10 - Steven Wilson - The Raven That Refused To Sing (2013)


Unico album definibile "progressive" in questa classifica, in quanto mi è molto difficile trovare anche solo un qualche punto di interesse in questo "genere" e nei suoi derivati in questi ultimi anni. C'è da dire però che questo Raven è riuscito a catturare la mia attenzione, facendomi diventare fan di Steven Wilson (non dei Porcupine Tree però). Avrei potuto inserire anche Hand. Cannot. Erase, che forse contiene brani che preferisco anche rispetto ad alcuni di Raven, ma alla fine una decisione andava presa. Poi c'è da dire che questo album, insieme forse al precedente Grace For Drowning, ha avuto un ruolo fondamentale nella rinascita del progressive in questo decennio; ma diciamo che cerco di non avercela troppo con lui per questo motivo, visto che almeno lui qualche canzone memorabile riesce a scriverla.

9 - Deep Purple - Now What?! (2013)


Grande ritorno alla forma per una delle mia band preferite in assoluto. Ovviamente con Steve Morse e Don Airey al posto di Ritchie Blackmore e Jon Lord siamo di fronte ad un'altra band, con un suono e uno stile un po' diverso, cosa a cui ormai dovremmo esserci abituati dal lontano 2003. Quel che è certo però è che a questa formazione mancava un qualche lavoro discografico di un certo livello, in quanto i loro Bananas e Rapture Of The Deep (complice anche la produzione di Michael Bradford) sembravano zoppicare un po'. Grazie a Bob Ezrin finalmente nel 2013 ecco Now What?!, primo vero piccolo capolavoro dei Deep Purple dai tempi di Purpendicular. Il successivo Infinite si è difeso molto bene, ma forse manca un po' della solidità di questo suo predecessore, dove la band non cerca più il riff del secolo, ma sfoggia una maturità compositiva ed esecutiva di altissimo livello.

8 - The Who - Who (2019)


Altro grandissimo ritorno, forse ancora più sorprendente di quello dei Deep Purple. Endless Wire del 2006 ci aveva lasciati un po' così, dimostrandosi un lavoro non certo brutto ma appena discreto, con bei momenti ma una produzione piatta e mediocri performance vocali. Who è invece l'esatto opposto: se da un lato, a differenza di Endless Wire, manca una componente concettuale, una mini-opera di quelle che tanto hanno caratterizzato gli Who decenni fa, dall'altro lato si hanno una serie di canzoni vivaci, fresche, suonate e cantate divinamente. Se si riesce a mandare giù il tocco di autotune sparso qua e là, si può godere di un Pete Townshend in incredibile forma come compositore, come non lo era da decenni, ed un Daltrey magicamente ringiovanito. Certamente la sorpresa del 2019.


7 - Toto - XIV (2015)


Un altro album che ha certamente lasciato il segno in chi scrive è questa quattordicesima uscita in casa Toto. Ormai non ce lo si aspettava più, in quanto l'ultimo album in studio, Falling In Between, uscì nel 2006 con una formazione diversa, mentre quella di XIV sembrava essere più di natura live che da studio. Invece, quasi a sorpresa, nel 2015 ci hanno regalato un album che mostra il meglio di quello che è il loro stile, sempre in bilico tra canzoni coinvolgenti e memorabili e sfoggio di virtuosismi mai fine a loro stessi. Il ritorno di Joseph Williams alla voce è certamente la decisione migliore che potessero prendere, mentre il ritorno a tempo pieno di David Paich e Steve Porcaro non fa che aggiungere valore ad un album che ben poco ha da invidiare alle loro uscite più celebrate.

6 - David Bowie - Blackstar (2016)


Ammetto la colpevolezza: ho iniziato ad interessarmi a Bowie proprio dopo la sua triste dipartita. Sapete, quei nomi che sono sempre lì da una parte, e di cui si dice "un giorno approfondirò"? Ecco, Bowie è stato là per anni. Poi, nel 2016, esce Blackstar, tutti ne parlano, poi lui ci lascia, e se ne parla ancora di più. Era impossibile ignorarlo. E di fatto non è da tutti licenziare un capolavoro di questo livello non solo in tarda età, ma come ultima uscita. Per non parlare poi di come il tutto sia sembrato organizzato nei minimi dettagli, con perfetto tempismo, e che Blackstar in sostanza sia un saluto un po' come lo fu Innuendo per Freddie Mercury. Di certo ciò ha aggiunto al già innegabile fascino di un album difficilmente definibile ma certamente oscuro, strambo, irregolare, che si trascina passo dopo passo verso un emozionante finale.

5 - Foxygen - Hang (2017)


Certamente un nome meno noto dei precedenti presenti su questa lista, ma non certo degno di meno attenzione. Di tutti i lavori partoriti da questo duo definibile "indie rock", di cui alcuni decisamente trascurabili, questo Hang non può lasciare indifferenti. In poco più di mezz'ora ci vengono buttati in faccia tanti di quegli stili e sonorità diversi da rimanere storditi. C'è molto del pop psichedelico di fine anni '60, un tocco di glam, e tante, tante idee. C'è chi critica le performance vocali, ma per chi scrive si tratta proprio di uno degli elementi più unici ed interessanti di questo lavoro, che proprio grazie a particolari come questo finisce per distinguersi da chiunque altro.

4 - The Apples In Stereo - Travellers in Space and Time (2010)


Da molti liquidato come una pallida imitazione del "suono ELO", da chi scrive invece visto certamente come un palese tributo, ma anche un conglomerato di pura gioia in forma canzone. Una volta superato l'eventuale ostacolo della acuta voce di Robert Schneider è impossibile non lasciarsi coinvolgere da questi colorati brani che ci assilleranno per giorni, tanta è la loro cantabilità. Non è necessario tirare fuori parole come "capolavoro", in quanto la gioia e spensieratezza che questo Travellers sa regalare ad ogni ascolto è la sola ragione di cui necessito per metterlo in lista alle porte della top 3.

3 - Sparks - Hippopotamus (2017)


Che la carriera degli Sparks sia stata negli anni eclettica, cangiante e a tratti altalenante è al di sopra di ogni dubbio, ma fin dal 2015, con l'album in collaborazione con i Franz Ferdinand, FFS, era ovvio un loro ritorno ad uno stile più orientato alle canzoni. Dopo una fase certamente più sperimentale da dopo il 2000 con album come Lil' Beethoven, Hippopotamus arriva come una ventata di aria fresca. Una manciata di canzoni una più bella dell'altra, con un Russel Mael che non ha perso nulla della sua unica voce ed un Ron Mael che riesce sempre a combinare originalità, ascoltabilità ed umorismo in un album che sfugge ad ogni catalogazione e confronto, oltre ad esser indubbiamente degno di stare al fianco dei loro migliori lavori.

2 - Devin Townsend - Empath (2019)


Già al primo posto nella mia personale classifica degli album del 2019, in Empath Devin Townsend dimostra veramente di volere e potere fare esattamente quello che vuole. Certamente c'è molto metal, ma c'è anche il musical in Why, così come una quantità indescrivibile di influenze e sonorità diverse in brani come Genesis e nella lunghissima Singularity. Senza poi parlare di brani semplicemente belli come Spirits Will Collide, il tutto condito oltretutto da un intero CD bonus nell'edizione Deluxe pieno di outtakes degne di stare in un album vero e proprio. A parere di chi scrive si tratta del miglior lavoro del signor Townsend, nonostante l'agguerrita concorrenza di altri suoi album magnifici.

1 - The Beach Boys - The Smile Sessions (2011)


Che dire di questa monumentale uscita? Probabilmente si tratta di una delle pubblicazioni più importanti non solo dell'ultimo decennio, oltre che una degna conclusione di una storia durata quasi 45 anni. Uno degli album più misteriosi che, di fatto, non vide mai veramente la luce e la cui assenza non ha fatto altro che accrescere il suo status di capolavoro perduto. Poi ci fu la versione del solo Brian Wilson con i Wondermints nel 2004, e finalmente nel 2011 un magnifico cofanetto con una ricostruzione dell'album realizzata con le registrazioni dell'epoca esistenti, oltre a ben altri 4 Cd pieni zeppi di registrazioni dalle session. Ne ho parlato ampiamente sia in una articolo presente su questo blog che in un mio libro, quindi non mi dilungo; ma mi basti dire che la quantità di idee, la profondità tematica e la pura bellezza presente in questo album è qualcosa che di più universale io non riesco ad immaginare.

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