martedì 10 dicembre 2019

The Who - Who (2019) Recensione

Dopo ben 13 anni da Endless Wire (comunque pochi in confronto ai 24 tra il suddetto ed il precedente It's Hard), gli Who, o più precisamente Pete Townshend e Roger Daltrey, tornano con un nuovo album. Inutile dire che le aspettative sono piuttosto alte, specialmente da quando, già prima dell'uscita, si definiva questo lavoro come il loro migliore dai tempi di Quadrophenia. E se non è un mistero il generale calo di qualità da quel punto della loro carriera in poi, non è che The Who By Numbers e Who Are You fossero poi così brutti... A dire il vero per chi scrive sarebbe bastato qualcosa di un pelo meglio del precedente Endless Wire, che aveva certamente i suoi punti forti in qualche brano sparso e nella mini-opera Wire and Glass, ma soffriva dal punto di vista vocale (Daltrey aveva seri problemi in quegli anni) e a tratti pareva un lavoro un po' frettoloso, con brani che sembrava essere dei demo appena un po' abbelliti.
Da questo punto di vista si può tranquillamente dire che questi due signori si sono superati, tra Daltrey che sembra ringiovanito di vent'anni e Townshend che sembra voler uscire dai suoi soliti schemi compositivi stabiliti ai tempi di Who's Next e tentare di sorprendere.
Togliamoci subito di mezzo quello che forse è, per chi scrive, l'unico vero punto negativo di questo lavoro: l'autotune. Lo so benissimo che ormai è irrinunciabile, e potrei scrivere libri interi su quanto ciò sia sbagliato (specie se si considera il modo in cui viene normalmente usato), ma quello che mi rende perplesso è il fatto che né Daltrey né Townshend ne avrebbero bisogno! Basta andare su YouTube e cercare qualche video dai loro tour più recenti; non si notano grossi problemi vocali, soprattutto di intonazione, quindi perchè ricorrere all'autotune? Spero non sia una decisione frutto del tentativo di stare al passo con i tempi, come per la Fuh You di Paul McCartney, brano tanto orrido quanto dimenticabile ed, infatti, dimenticato. Oltretutto se non lo si è usato nel 2006 quando Daltrey faceva venir voglia di schiarirsi la voce pure a chi ascoltava, perchè tirarlo fuori ora?
Ma se si tralascia questo aspetto, non si può non lasciarsi andare ad un beato sorriso durante l'ascolto di questo album, specie se si segue questa band da qualche annetto. C'è freschezza, varietà sia compositiva che di arrangiamenti, ci sono i cari vecchi Who che ruggiscono in Ball And Chain e Street Song, quelli più pop tipici dell'epoca post-Moon in I Don't Wanna Get Wise e All This Music Must Fade. Ci sono poi uscite più particolari come la ballad Beads On One String o il Townshend solitario di I'll Be Back, oltre all'unica composizione ad opera di Simon Townshend: la coinvolgente ed allegra Break The News, forse quella che più di ogni altra sembra stare al passo con i tempi, e per questo stupisce vederla sepolta nell'album e non come singolo. Degna di menzione anche la bella Detour (tra l'altro questo fu anche il primo nome dei giovanissimi Who), in bilico tra le atmosfere di fine anni '60 e Join Together con tanto di armonica bassa, o il bel rock sinfonico di Hero Ground Zero e Rockin' In Rage. Tutti brani che letteralmente sotterrano gran parte di Endless Wire. E se il finale di She Rocked My World è forse un pelo sottotono, le tre bonus track della versione deluxe, seppure sostanzialmente opera del solo Townshend, sono una notevole aggiunta (in particolare il vecchio demo Got Nothing To Prove).
Il migliore da Quadrophenia? Sarà forse che chi scrive adora Who By Numbers e trova svariati punti di interesse nel comunque inferiore Who Are You, ma personalmente non mi sbilancerei così tanto. Diciamo che alla fine il livello è all'incirca quello, e sicuramente è superiore a tutti i loro lavori successivi alla morte di Moon; e se si considera l'età dei due unici superstiti, non si può dire che sia poco. Oltretutto i musicisti coinvolti, nonostante ovviamente non possano arrivare ai livelli sovrumani dei rimpianti Moon ed Entwistle, contribuiscono egregiamente nel creare un suono solido e potente; questo sì forse il più vicino ai tanto rimpianti anni '70, nonostante le incursioni inevitabilmente più moderne.
Davvero bella poi la copertina, ovvio riferimento a quella di Face Dances nello stile, ed infatti opera anch'essa di Peter Blake. Solo che all'epoca di Face Dances la copertina era la cosa più bella dell'album, qui per fortuna non è così.
Se solo non si fosse caduti anche qui nelle insidie dei mastering moderni...


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