I Ween sono un gruppo praticamente indefinibile, tanti sono i generi musicali che hanno affrontato con successo, sempre in equilibrio tra serietà e parodia, senza mai sbilanciarsi né dall'una né dall'altra parte. Forse proprio per questa loro difficile categorizzazione sono così poco conosciuti in Italia, a cui tanto piace definire le cose con inequivocabili etichette (che poi scatenano sanguinarie discussioni tra "appassionati"), oltre al fatto che gran parte dei generi da loro affrontati sono tipicamente americani. Tuttavia, proprio questo aspetto è uno dei loro più grandi punti di forza, la versatilità ed un generale atteggiamento figlio diretto del punk (non come genere musicale, ma proprio nel modo in cui la band se ne frega totalmente di ciò che avrebbe senso fare, a partire da ciò che magari vorrebbero i loro fan), che va dai primissimi lavori ai limiti del lo-fi, fino ai più maturi album dove scrittura, arrangiamenti e performance sono di altissimo livello, senza mai perdere quella indefinibile ma riconoscibile identità.
I Ween sono tecnicamente un duo fondato intorno alla metà degli anni '80 a New Hope, Pennsylvania, da Aaron Freeman e Mickey Melchiondo, il primo cantante e il secondo chitarrista, che rispettivamente sono conosciuti con i nomi Gene e Dean Ween, a cui, negli anni, si sono aggiunti altri musicisti, specialmente dal vivo, a supportarli (Claude Coleman Jr. alla batteria, Glenn McClennan alle tastiere e Dave Dreiwitz al basso). Tutti i loro album sono prodotti da Andrew Weiss (che per un breve periodo a metà anni novanta fu anche loro bassista dal vivo), ed è ricorrente la presenza della divinità demoniaca di loro invenzione chiamata Boognish, che, stando alla definizione ufficiale sul sito della band: "è un Dio Demone che è apparso tre volte ai fratelli profeti Dean e Gene Ween. Risiede da qualche parte al di fuori del buffer orbitale. La tradizione vuole che questa entità tenga uno scettro in ogni mano: quello della ricchezza e quello del potere". A ciò va doverosamente aggiunto il termine "marrone", o meglio "brown", che seppur non abbia un significato inequivocabile, è generalmente accettato che stia a significare qualcosa di talmente brutto e fatto male che diventa, a suo modo, un capolavoro (in questo senso l'album THE POD è considerato un manifesto). Se tutto ciò pensate che abbia poco senso, non importa.
Detto ciò, andiamo ad analizzare la loro discografia cercando di ordinare gli album puramente in base a preferenze personali di chi scrive, premettendo che si tratta di una sequenza molto solida di album, e che quindi anche quelli in fondo alla lista hanno al loro interno qualcosa degno di nota.
11 - Friends EP (2007)
L'unico EP in questa lista (se non si contano altri precedenti di natura promozionale, contenenti, però, brani poi inclusi negli album veri e propri), è una raccolta di cinque canzoni sostanzialmente di natura "danzereccia", tendenzialmente ritmate, ma profondamente diverse tra loro. Spicca Friends, pesantemente ispirata dalla dance anni '90, la quasi caraibica Light Me Up, dall'allegria contagiosa, e la conclusiva Slow Down Boy, la versione dei Ween di una tipica ballad pop anni '80. Il resto si piazza un po' indietro, in quanto I Got To Put The Hammer Down è sicuramente carina ma dimenticabile, e il reggae di King Billy è, semplicemente, troppo lungo. Non è un brutto EP, ma ha un po' poco da offrire rispetto agli standard tipici di questa band, non solo in termini di durata.
10 - La Cucaracha (2007)
Ad oggi l'ultimo album dei Ween, è uscito poco dopo l'EP Friends, e con esso condivide la title track, qui però presente con un diverso arrangiamento forse un pelo inferiore all'originale. Il resto dell'album sembra voler a tutti i costi ribadire la versatilità del duo, con però un po' meno ispirazione a supportarla, specie se confrontato ai lavori anche immediatamente precedenti. Ci sono quindi ottimi brani come la magnifica Object, il ritorno del country (vedremo dopo perché si parla di ritorno) in Learnin' To Love, il pesante rock guidato da Dean nella esilarante With My Own Bare Hands, la commovente Lullaby, la lunga Woman And Man (con uno spettacolare assolo di Dean), e la perfetta conclusione sia dell'album che di una eventuale discografia con Your Party. Il resto oscilla un po' in termini di qualità, dall'esperimento con l'autotune di Spirit Walker alla parodia del pop punk di Shamemaker, si nota quanto i Ween tentino di catturare ancora una volta la magia di album come CHOCOLATE AND CHEESE, riuscendoci, tuttavia, solo in parte.
9 - Pure Guava (1992)
Il loro terzo album, il primo sotto una major (la Elektra), ma ancora tutt'altro che commerciale. Già il precedente THE POD, come vedremo, fu registrato praticamente in modo "casalingo", con un registratore a quattro tracce ed un uso pesante della drum machine, ma se in un certo senso il precedente riusciva, in tutta la sua stranezza fuori di testa, a risultare fresco e sincero, PURE GUAVA a tratti sembra quasi un tentativo di replicare quella stessa formula, senza però riuscirci appieno. Tutte le caratteristiche ci sono: brani stralunati, drum machine psicotica, effetti di varia natura applicati alle parti vocali (da distorsioni e vere e proprie manipolazioni della velocità del nastro), ma forse manca un po' dell'ispirazione del precedente. Troviamo al suo interno una piccola hit, Push Th' Little Daisies, con la voce di Gene accelerata ed estremamente acuta (a tratti ricorda la voce di Eric Cartman di South Park, perlomeno in lingua originale, e sicuramente ne è stata un'ispirazione), la terza parte della saga di The Stallion, forse la parte più "normale", un brano diventato poi un classico delle loro scalette dal vivo, Don't Get 2 Close (2 My Fantasy), dal ritornello contagioso ed il finale corale a la Queen, altri brani stralunati poi portati stabilmente in concerto come Big Jilm, Touch My Tooter e i classiconi Reggaejunkiejew e Poopship Destroyer (quest'ultima spesso suonata come ultimo bis estremamente esteso laddove la band decidesse di "punire" un pubblico ostile nei loro confronti). Nel mezzo trovano posto le concitate The Goin' Gets Though From The Getgo e Pumpin' 4 The Man, oltre a brani-non brani come la conversazione strafatta di I Play It Off Legit. In definitiva, quasi un THE POD parte 2, ma un po' meno riuscito, con più riempitivi ma tanti brani essenziali al suo interno.
8 - 12 Golden Country Greats (1996)
Che ci trovassimo di fronte ad una band particolare credo che ormai si fosse capito, ma in pochi si sarebbero aspettati che il loro quinto album potesse essere un lavoro totalmente country (ecco perché ho parlato di "ritorno" precedentemente), oltretutto con al suo interno dieci canzoni e non dodici come indicato dal titolo. I Ween andarono a Nashville a registrare questo album, utilizzando anche svariati veterani session man dell'ambiente, e sfoderarono una serie di canzoni, appunto, country. In un certo senso si tratta dell'album più "normale" della loro discografia, ottimamente suonato, cantato e prodotto, senza alcuna stranezza sonora, se non fosse per i testi. Basta infatti citare un titolo come Help Me Scrape The Mucus Off My Brain o Piss Up A Rope per capire il tono dei testi, oppure la magnifica Mister Richard Smoker, di cui invito a cercare e leggere il testo perché non sarò io a spiegarvelo. C'è chi consiglia questo album come punto di partenza per scoprire poi la loro intera discografia, proprio in luce della sua normalità, e non so quanto essere d'accordo, ma di fatto se vi piace il country, non fatevelo sfuggire!
7 - Shinola Vol. 1 (2005)
Un unicum nella discografia dei Ween, in quanto si tratta di una raccolta di vecchi brani scartati dagli album precedenti (e ce ne sono a decine, se non centinaia, reperibili su bootleg vari), però riregistrati in studio apposta per questo album. Quindi non aspettatevi vecchi e polverosi demo ricoperti di fruscio, perché la sensazione è, invece, quella di trovarsi di fronte ad un vero e proprio nuovo album (se, ovviamente, già non conoscete le canzoni qui incluse). Si tratta di un lavoro molto eterogeneo, in quanto convivono pacificamente al suo interno brani risalenti ai primi anni '90, quindi di natura più sperimentale, come Tastes Good On Th' Bun e Big Fat Fuck, e canzoni più recenti e mature come la conclusiva Someday, esclusa da QUEBEC del 2003. Nel mezzo c'è il rock da stadio di Gabrielle, la floydiana Did You See Me, forse il miglior brano del disco ed uno dei loro migliori in generale, la ballata psichedelica How High can You Fly, e la squisita Monique The Freak, un ritorno alle sonorità tipiche di Prince (vedremo anche qui perché ritorno) o di certe cose di Nile Rodgers.
Forse un album non essenziale, ma pieno di ottime canzoni che meritavano di essere pubblicate ufficialmente. A quando un volume 2?
6 - The Pod (1991)
Probabilmente uno degli album più folli mai usciti, il secondo ufficiale della discografia dei Ween ed il primo, di fatto, registrato in modo totalmente casalingo (in quanto l'esordio, come vedremo, vanta una produzione generalmente di più alta qualità). Qui ci si trova di fronte a quasi un'ora e venti minuti di folli drum machine, voci manipolate, tanta distorsione ed effetti sonori quasi a mascherare o deturpare molte ottime idee musicali, rendendole al limite dell'ascoltabile. Se infatti l'inizio con Strap On That Jammypack, con i suoi start e stop casuali e la voce maniacale, sembra un semplice esercizio goliardico (come ne troveremo più avanti), già brani come Dr. Rock, Captain Fantasy e Sketches Of Winkle sono ottimi esempi di quell'atteggiamento punk alla base soprattutto dei loro primi lavori (ben più evidente nell'album precedente, come vedremo), tanto sono cariche di distorsione ed energia. Ci sono poi brani che stupiscono per i motivi più disparati, dal folk epico di Right To The Ways And The Rules Of The World a Oh My Dear (Falling In Love), che sembra uscire da uno dei primi album dei Beatles, fino alla maniacale Laura, che, dopo una prima sezione cantata pesantemente effettata, travolge l'ascoltatore con un'apocalisse sonora fatta di arpeggi di chitarra sovrapposti leggermente stonati fra loro. Iniziano poi a venir fuori temi ricorrenti, come il piatto "pork roll, egg & cheese", non solo presente nell'omonima, ottima, canzone, ma anche in Frank, e, soprattutto, è ripetuto in modo ossessivamente depresso nell'oscura She Fucks Me, oppure non si può non citare l'inizio della magnifica saga di The Stallion, con le sue prime due parti, le più malate, con Gene al megafono a urlare insulti e Dean a sfoderare una sequenza di riff dissonanti (la terza è in PURE GUAVA, mentre la quarta e la quinta sono reperibili solamente in bootleg, e sporadicamente la band le suona tutte e cinque in sequenza dal vivo). Un album dai toni generalmente scuri, opachi, spesso sonnolenti, dal particolare senso dell'umorismo spesso nonsense (Pollo Asado), squisitamente marrone, ostico per molti, un capolavoro per altri.
5 - God Ween Satan: The Oneness (1990)
L'album d'esordio dei Ween è sostanzialmente una selezione dei migliori pezzi composti dai due nei loro primi anni insieme, dal 1986 al 1990, anni in cui realizzarono svariate cassette demo (reperibili come bootleg) di variabile qualità, e ciò rende questo album non solo lungo, ma anche estremamente solido. Qui trova sfogo l'anima più punk e distorta dei Ween, in brani come You Fucked Up, Bumblebee, Fat Lenny, Old Queen Cole, Papa Zit e altre, e generalmente, a differenza dei due successivi, la qualità di registrazione e produzione è migliore, in quanto hanno potuto registrare a casa del produttore Andrew Weiss, potendo quindi anche utilizzare una vera batteria, che fa la differenza. Essendoci ben 26 canzoni, non mancano i primi segni di una versatilità che li caratterizzerà per tutto il resto della carriera, come nella divertente El Camino, dai toni messicani, o la lunga L.M.L.Y.P., di fatto una non dichiarata cover di Shockadelica di Prince, fino al folk medievaleggiante di Squelch The Weasel, spassoso nel suo uso di termini antichi in un testo ai limiti del nonsense. Spiccano brani come l'amara Birthday Boy, affogata da una pesante distorsione e da un suono lo-fi, probabilmente registrata alla buona sul primo nastro trovato, in quanto alla fine si può sentire qualche secondo di Echoes dei Pink Floyd, la beatlesiana Don't Laugh (I Love you), ma la lista sarebbe veramente lunga, tanti sono i brani, molti di cui brevi, che si susseguono sena sosta (meritano una citazione Tick, I Gots A Weasel, Up On The Hill e la finale, comatosa, Puffy Cloud). Un esordio con i fiocchi, specialmente se si considera che Gene e Dean all'epoca avevano solamente vent'anni, con molti brani che negli anni, grazie ai concerti, diventeranno dei classici.
4 - White Pepper (2000)
Salto avanti di dieci anni e ci troviamo di fronte all'album più "normale" dei Ween dopo 12 GOLDEN COUNTRY GREATS, senza però essere confinato ad un solo genere. WHITE PEPPER, il cui titolo è un ovvio riferimento a due dei più celebri album dei Beatles, si propone come una più consueta raccolta di canzoni, sempre piuttosto varie, ma meno che in passato. L'ispirazione dei Fab Four (comunque sempre presente nella loro musica) si nota soprattutto in brani come la cadenzata Even If You Don't o la magnifica e commovente Stay Forever, tra i loro migliori brani di sempre, mentre altrove, ovviamente, le ispirazioni si fanno più disparate. Si va dalla caraibica Bananas and Blow al pesante rock a la Move di The Grobe, fino all'ovvio omaggio agli Steely Dan in Pandy Fackler e al quasi speed metal di Stroker Ace. Se a ciò aggiungiamo ottimi brani come Exactly Wher I'm At (ottima la produzione che "apre" il suono dopo la prima strofa) e il folk psichedelico orientaleggiante di Flutes Of The Chi, ci troviamo di fronte ad un album forse non coraggioso quanto altri dei Ween, ma certamente uno dei più solidi e piacevoli all'ascolto, senza troppe stranezze, ma semplicemente tante belle canzoni.
3 - Chocolate And Cheese (1994)
Il loro quarto album è anche il primo ad uscire fuori dalla prima fase più "lo-fi", e vanta una generale resa sonora decisamente più "professionale" e di alto livello, oltre a mostrare un enorme passo avanti in termini di scrittura delle canzoni. Questo album è una sorta di manifesto della musica dei Ween, quello in cui, forse più che in ogni altro, mostrano la loro versatilità, sfoderando sedici canzoni tutte diversissime fra loro. Ci sono ancora tracce del nonsense, a volte anche di dubbio gusto (in senso buono), dei lavori precedenti in brani come The HIV Song o Spinal Meningitis (Got Me Down), ma è in canzoni come l'orientaleggiante I Can't Put My Finger On It, Voodoo Lady, squisitamente funk, o le beatlesiane Mister Wold You Please Help My Pony? e What Deaner Was Talkin' About (una delle loro migliori canzoni in assoluto), tutti brani poi poi divenuti leggendari per i fan, che la band eccelle. In generale la distorsione e gli strani effetti sonori dei lavori precedenti qui trovano poco spazio, e quando lo trovano è sempre ai fini di un risultato finale originale e bilanciato, mai eccessivo. Come non citare poi il soul di Freedom Of '76, con una performance vocale di Gene da applausi, o Tear For Eddie, tributo strumentale di Dean a Eddie Hazel con un assolo da brividi, e che dire dei ben 7 minuti di Buenas Tardes Amigo, drammatica quanto comica storia dai toni messicani pare ispirata da Sesame Street? E poi ci sarebbe anche Roses Are Free, altro ottimo brano, la carica Take Me Away, in cui Gene fa quasi il verso a Elvis, e potrei continuare... CHOCOLATE AND CHEESE è un autentico capolavoro, con giusto una manciata di brani più "deboli" a tenerlo nel gradino più basso del podio, ma forse si dimostra essere un ottimo punto di partenza per i nuovi fan, tanto è varia la proposta musicale al suo interno.
2 - Quebec (2003)
Un album dai toni un po' più oscuri e amari rispetto agli altri, frutto del divorzio che stava attraversando Gene ai tempi, che traspare in molteplici brani al suo interno. Non che rabbia e disperazione prendano il sopravvento in tutti i brani, ci sono le eccezioni, ma in generale la varietà e la goliardia di altri loro lavori fa qui un passo indietro. Ci sono quindi riferimenti a depressione e antidepressivi, come nelle psichedelice Zoloft, bel brano sognante e rilassato, e Happy Colored Marbles, che ad una prima sezione inquietantemente allegra contrappone un distorto ed inaspettato finale strumentale, ci sono riferimenti alla difficile situazione sentimentale, come nella bella Tried And True e I Don't Want It, più malinconiche, o nell'epico finale, quasi una parodia dei Radiohead (comunque migliore di grandissima parte della loro discografia), If You Could Save Yourself (You'd Save Us All). Ci sono poi momenti più distesi e meditativi, come Captain e Alcan Road, che si contrappongono alle sporadiche follie sonore di So Many People In The Neighborhood e The Fucked Jam, quasi uno sguardo al loro passato. C'è anche un breve momento vaudeville in Hey There Fancypants, divertente canzone dal testo inaspettatamente amaro, oltre ad alcuni dei loro migliori brani mai composti, Transdermal Celebration e l'epica The Argus.
Pur essendo un album meno vario degli altri, la maturità dei due e la genuina ispirazione dietro alle composizioni rendono QUEBEC uno dei loro album più compiuti e completi, apprezzabile anche da chi non è fan dei Ween e vuole ascoltare, semplicemente, un gran bell'album.
1 - The Mollusk (1997)
Ricordato da molti come "l'album che ha ispirato Spongebob" (stando alle parole del suo creatore), o "l'album con Ocean Man" (per chi è più avvezzo ai meme), THE MOLLUSK è senza alcun dubbio il più alto risultato raggiunto dai Ween. Definibile come un concept album ,sia per il tema d'ispirazione marina che accomuna gran parte delle tracce (oltre all'onnipresenza di suoni ed effetti sonori di natura "acquatica), sia per una qualche storia che alcuni teorizzano si possa trarre dai testi dei brani, qui la band trova il perfetto equilibrio tra ottime canzoni, follie sonore e goliardia. Ocean Man non ha bisogno di presentazioni, ed è un ottimo brano pop caratterizzato dalla voce rallentata di Gene, a riprova del fatto che la manipolazione della voce tramite il cambio di velocità del nastro continua ad essere ben presente, come anche nella meravigliosa I'm Dancing In The Show Tonight, perfetta apertura del disco, d'ispirazione vaudeville. Nel resto dell'album trova spazio il folk, come nella title track e Cold Blows The Wind, la psichedelia nella spettacolare Mutilated Lips, nel valzer malato di Polka Dot Tail o nella più pesante The Golden Eel, per arrivare ai canti marinareschi della spassosa The Blarney Stone e della più malinconica She Wanted To Leave. Nel mezzo ci sono alcuni dei migliori brani dell'intera discografia dei Ween, come It's Gonna Be (Alright), una delle melodie più pure che io abbia mai ascoltato, l'epica Buckingham Green, che in appena tre minuti e mezzo riesce ad includere un saliscendi che alcuni neanche nel triplo di quel tempo riuscirebbero a realizzare, e la divertente Waving My Dick in the Wind. Non esagero quando affermo che THE MOLLUSK è uno degli album più belli degli anni '90, e mi chiedo come sia possibile che non sia più conosciuto, specialmente in Italia, poi mi ricordo quali altri gruppi esteri dell'epoca venivano apprezzati qui e mi do da solo la risposta.
Detto ciò, ascoltatelo, non ve ne pentirete.
Molto forti !
RispondiEliminaOttima recensione, tanti complimenti all'autore! Ce ne sono altre dello stesso ?
RispondiEliminaErcole Simone, bravissimo. Bisognerebbe valorizzare talenti così !
RispondiEliminaBell'articolo! Band meravigliosa e tristemente poco conosciuta in Italia.
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