giovedì 26 maggio 2022

Journey - Escape (1981) Recensione

Dopo i primi tre album dalle tendenze fusion, con il tastierista Gregg Roile nel ruolo di cantante, l'entrata di Steve Perry già aveva portato un cambiamento nel sound nell'album INFINITY del 1978 (ne ho parlato qui), inaugurando una fase, poi proseguita negli album EVOLUTION e DEPARTURE, in cui il talento vocale del nuovo arrivato si afferma via via sempre più, seppur con ancora Roile ben presente, in uno stile via via sempre più radiofonico. Come profetizzato dal titolo dell'album DEPARTURE (ricordato per la hit Any Way You Want It), Roile abbandona la band poco dopo l'uscita del suddetto, lasciando di fatto gli ex compagni liberi di proseguire nel loro ormai ben avviato percorso alla conquista delle classifiche mondiali, e lo sostituirà Jonathan Cain. Ciò che ne consegue è uno degli album più importanti degli anni '80, che, volontariamente o meno, contribuisce alla nascita e all'affermazione del cosiddetto genere AOR, che sebbene sia un acronimo utilizzato in varie situazioni e contesti, qui lo intendiamo come quel tipico "arena rock" che proprio in questo decennio avrà il suo momento di massimo splendore. 

ESCAPE è probabilmente la perfetta rappresentazione del pop-rock anni '80, con tutti i suoi alti e bassi a seconda dei gusti dell'ascoltatore, ed è anche il momento in cui il mondo si rese definitivamente conto del talento vocale di Perry, qui al suo indiscutibile apice. Fin da subito si mette in chiaro come stanno le cose, con la celeberrima Don't Stop Believin' ad aprire le danze, caso particolare di tipico pezzo da stadio in cui, tuttavia, l'iconico ritornello arriva una sola volta, alla fine. Qui ogni singolo elemento è dosato alla perfezione, dagli accordi di piano iniziali, all'iconica performance vocale di Perry, fino ai centellinati interventi chitarristici di Neal Schon, il tutto aiutato da una cristallina e potente produzione (merito di Mike Stone e Kevin Elson) che farà da base a gran parte delle uscite dello stesso genere che seguiranno negli anni successivi. Se da un lato aprire un album con questo brano è una scelta vincente, dall'altro c'è il concreto rischio che il resto sfiguri al confronto, non essendoci, di fatto, altri brani paragonabili al primo in termini di fama. Detto ciò, il solare rock di Stone In Love e la vivace Keep On Runnin', la quasi-ballad Who's Crying Now e la vera e propria ballad Still They Ride godettero di un buon successo, e a loro volta rientrano in pieno nei canoni AOR, dimostrandosi brani magnificamente composti ed arrangiati. L'unico altro brano in grado di competere (quasi) con Don't Stop Believin' in termini di fama è la conclusiva Open Arms, prototipo di ballad commovente al piano perfetta per far sfoderare gli accendini al pubblico, oltre ad una ulteriore, perfetta, occasione per Perry di mettersi in mostra con la sua magnifica voce. 

Nonostante gli altri brani non siano così conosciuti dal grande pubblico, sono in realtà altri fondamentali tasselli di un album che rasenta la perfezione: se Lay It Down e Dead Or Alive sono forse i brani meno memorabili dell'album, con il loro stile piuttosto generico, un pezzo come l'energetica title track spicca per la sua struttura più complessa, un concentrato di riff e melodie che esce dalla forma canzone tipica senza che ce ne si accorga (come, tra l'altro, già è successo con Don't Stop Believin').
Un altro picco indiscusso dell'album si ha con Mother, Father, enfatico ed epico brano in crescendo (più in termini di intensità interpretativa che di effettive sonorità) in cui Perry dà il meglio di sé, raggiungendo altezze via via sempre più impressionanti, seguito a ruota dai sempre perfetti interventi di Schon alla chitarra: un piccolo capolavoro spesso oscurato dal successo dei brani che lo circondano (consiglio di guardarsi il video della performance dal vivo di questo brano a Houston nel 1981, che trovate in fondo alla recensione).

ESCAPE proietta i Journey verso un indiscutibile successo planetario, che continuerà coerentemente con il successivo FRONTIERS, dalle sonorità un po' più dure, e RAISED ON RADIO, più vicino ad un album solista di Perry (infatti sarà proprio lui a produrlo) ma con altre ottime canzoni al suo interno, prima dello scioglimento della band, interrotto solo a metà anni '90. Dopo l'uscita di ESCAPE non si contano le band rock, di cui molte con già una carriera già avviata nel corso degli anni '70, che si accodarono a questo genere macinando hit su hit, da supergruppi come Foreigner e Asia ai già comunque affermati Toto, i tanto odiati anni '80 (tranne quando tornano di moda, come di questi tempi, allora non sono più odiati, e tutti giù con mullet e giacche con le spallone, perchè viva l'identità) prendono definitivamente forma.

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