martedì 15 gennaio 2019

Styx - Pieces Of Eight (1978) Recensione

Spesso visto come l'ultimo album degli Styx con una qualche tendenza "progressiva", si tratta senza dubbio di uno dei loro lavori più solidi e riusciti. Certamente il successivo Cornerstone, specialmente grazie a Babe, proietterà una diversa immagine della band, criticata da molti, apprezzata ugualmente dal sottoscritto.
In Pieces Of Eight regna sovrana senza dubbio l'epicità, sia in termini di scrittura dei brani che negli arrangiamenti, spesso di una pomposità magari difficile da digerire per l'ascoltatore più intellettuale-snob, ma che di fatto ha sempre caratterizzato tanto gli Styx quanto quasi ogni altra band americana dalla simile natura, dai Kansas ai Boston.
Fin dall'apertura con Great White Hope, ritmi martellanti, chitarroni e misurati assoli di synth fanno da corollario alle consuete impeccabili e altissime parti vocali. I'm O.K. sembra quasi essere un mancato inno da stadio, ed è particolarmente efficace la seconda metà, con l'entrata dell'organo a canne che dona maggior epicità ad un brano che effettivamente la "chiamava". Sing For The Day invece, con il suo cantilenante e contagioso ritornello corale ed i suoi squillanti interventi di sintetizzatore, strizza l'occhio ai brani più melodici degli Yes anni '70, cercando al contempo di essere la "nuova" Fooling Yourself (dal precedente The Grand Illusion), senza però riuscirci appieno.
A questo punto ci troviamo di fronte forse alla rappresentazione maestra degli anni '70: una breve introduzione di sintetizzatore, The Message, che lascia poi spazio all'ennesimo brano epico, titolato Lords Of The Ring. Nonostante le premesse per licenziare un brano memorabile ci fossero tutte, a mio parere si tratta del pezzo più debole dell'album, che promette tanto ma, se escludiamo il bell'intermezzo strumentale con tanto di coro, sembra quasi un lampadario barocco che non fa luce. Certo è che in un qualunque altro album, che magari non vanta altri brani di qualità come questo, avrebbe probabilmente fatto tutt'altra impressione.
Infatti è proprio nel secondo lato che, secondo me, l'album decolla in modo veramente incredibile. Fin da subito veniamo spazzati via dall'Hammond distorto di Blue Collar Man, uno dei brani più celebri degli Styx. Sicuramente una delle migliori composizioni di Tommy Shaw, è curioso come il sincopato riff principale, a sua detta, gli sia venuto in mente sentendo il rumore del motore di una barca che non riusciva a partire. Il testimone passa poi di nuovo a Dennis DeYoung con quello che è forse uno dei suoi brani più validi nel suo incontro tra introduzione acustica, impennate elettriche e solite tendenze teatrali: Queen Of Spades. Difficile il compito di seguire Blue Collar Man, ma questo brano ci riesce più che bene, risultando uno dei pezzi più riusciti dell'album. E quando si pensa di aver ormai raggiunto la vetta, ritorna Shaw con la sua Renegade, che con la sua bellissima introduzione a cappella e l'iconico riff funkeggiante a seguire, riesce quasi a superare Blue Collar Man, ed è tutto dire. L'album si chiude con la magnifica title track e la sua coda strumentale, Aku Aku, e sebbene trovi abbastanza inutile quest'ultima, Pieces Of Eight invece chiude l'album nel migliore dei modi, con anche un bell'intermezzo strumentale dal profumo progressivo.
Sebbene molto probabilmente il mio album preferito a firma Styx rimanga Paradise Theatre, questo Pieces Of Eight ha velocemente scavalcato Cornerstone e The Grand Illusion piazzandosi alle spalle del suddetto. Qui il suono Styx raggiunge forse il suo miglior equilibrio tra tutti gli elementi che lo compongono, in un'opera di affinamento dei risultati raggiunti dal precedente "..Illusion" prima di semplificare, in un certo senso, il sound e regalare una manciata di perle pop di lì a poco.
Credo che come voto sia sull'8,5, ma con una seconda facciata che rasenta la perfezione.


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