mercoledì 31 gennaio 2018

The Crazy World Of Arthur Brown - Zim Zam Zim (recensione)


"You've got to hold the vision in your heart
Let the vision come back from where you'll start
Before the big-bang, before conditions begin
In the formless depths of Zim Zam Zim"

Siamo nel 2014, Arthur Brown spero che non serva presentarlo essendo letteralmente una leggenda vivente che tutti dovrebbero conoscere e celebrare, anche se tristemente non è propriamente così. Si, è quello di Fire con il suo Crazy World of Arthur Brown, ma nonostante una carriera piuttosto discontinua ha fatto anche ben altro! Gran motivo di interesse sono gli album con i Kingdom Come, così come album come Requiem, frutto di una new wave stralunata che ben rappresenta il personaggio (ascoltatevi Busha Busha). Ma dopo alti e bassi arriviamo a questo Zim Zam Zim, di nuovo a nome The Crazy World Of Arthur Brown ma con musicisti nuovi e decisamente più giovani. Si tratta di un album molto particolare, potenzialmente tra i più riusciti della sua carriera, dove Arthur balza da un genere all'altro dimostrando di possedere ancora una voce ed una capacità interpretativa che è raro vedere altrove. Zim Zam Zim pare essere il nome del protagonista, vi lascio qui un link al sito ufficiale di Arthur Brown che spiega la storia dietro. Spero che capiate l'inglese! 
L'album, come dicevo, spazia molto tra generi e atmosfere diverse, e dopo l'introduzione della title track, ecco Brown in territori vocali non lontani dal rimpianto David Bowie nella bella Want To Love. E già qui è evidente la vasta gamma di scelte sonore negli arrangiamenti, sicuramente non "moderni" ma quasi senza alcun riferimento temporale palese e assolutamente originali. Jungle Fever è un blues classico e molto "sporco", essenziale, scheletrico; ma anche il veicolo perfetto per delle acrobazie vocali che di certo non ci si aspetterebbe da un (ai tempi) settantaduenne!
Da ascoltare assolutamente. Si tocca il reggae nell'oscura The Unknown, altro gran bel brano, e si scivola in un'inaspettata ballata acustica con archi in Assun: davvero una bellissima sorpresa, con un Brown più pacato quasi a dimostrare la vasta gamma di sonorità che la sua voce è in grado di coprire. Ma è solo una cosa temporanea, ecco infatti tornare il Brown più folle nella piuttosto esplicita Muscle Of Love, che vanta anche alcuni interessanti interventi di fiati, presenti in vari punti dell'album tra l'altro. Da ascoltare se si vuole l'Arthur Brown più oscuro e malsano. Junkyard King è forse l'unico brano che non riesce a convincermi, forse a causa della sua eccessiva linearità, ma diciamo che nel totale riesce a farsi apprezzare. Per fortuna segue Light Your Light, uno dei pezzi che preferisco in assoluto in tutto l'album, la seconda parentesi "tranquilla", questa volta con un'atmosfera bellissima, positiva, da ascoltare. Unico neo forse nella produzione, o meglio nel mix, che spinge la voce di Brown fin troppo sopra al resto, ma sono piccolezze. A tenere altissimo il livello c'è la particolarissima Touched By All, che ho anche avuto il piacere di ascoltare in concerto lo scorso anno. Inizio narrato, ostinato al piano con intrecci di chitarra e mandolino e poi un continuo crescendo con sempre più strumenti fino ad uno stacco con un riff di fiati che ci porta all'ultima sezione di grande intensità, con un Brown quasi operistico che farei sentire a tanta gente che non ha la minima idea di come si canti. Un capolavoro, senza se e senza ma.
La chiusura dell'album è affidata a The Formless Depths, dalla squisita oscurità condita di percussioni tribali, inserti elettronici, altre parti narrate... Insomma, un pezzo non facilmente definibile, un po' come tutto l'album, e sicuramente non all'altezza del precedente, ma altra assoluta dimostrazione di originalità.
Un album che è stato portato a termine grazie ad una campagna di crowdfunding, e sinceramente è triste che una leggenda come lui debba ricorrere a questi mezzi, così come è triste vedere un centinaio scarso di persone a vederlo in concerto. Ma che vogliamo farci? Il mondo evidentemente gira così.
Fatevi un favore, ascoltate, o ancor meglio comprate Zim Zam Zim: non ve ne pentirete. Un album non certo perfetto, ma potenzialmente una delle migliori creature partorite da Arthur Brown, con l'incommensurabile apporto dei nuovi membri della sua band, che hanno reso tutto ciò possibile. Ulteriore lampante dimostrazione che l'originalità ormai spesso sta al di fuori del prog, oppure che forse i generi sono una perdita di tempo. Un 9 pieno come voto. 
Qui sotto vi lascio qualche video, ma se volete ascoltarlo per intero, qui potete trovarlo su Spotify.

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