domenica 14 marzo 2021

Mikayel Abazyan - Sketches From The Passing Years (2021) Recensione


Ho già avuto modo di parlare dei due precedenti album di Mikayel Abazyan, caro amico musicista proveniente dall'Armenia, quindi non posso fare a meno di rimandarvi qui e qui per "recuperare le puntate precedenti".

Dopo un anno difficile e particolare come il 2020, ecco che inaspettatamente, almeno per chi scrive, con tempi record vede la luce il terzo lavoro di Mikayel Abazyan. Premetto che, essendo presente tra gli ospiti la mia ragazza Martina Vesta alla voce, ed essendo stato il sottoscritto a registrarla, sono un po' "di parte" in questo specifico caso, ma cercherò di fare un passo indietro e di rimanere imparziale. 

Dopo un ottimo esordio ed un degno seguito un po' più particolare, arriva questo SKETCHES FROM THE PASSING YEARS, che si lascia alle spalle gli intermezzi recitati del precedente WESTERLIES, lasciando alla sola musica il compito di guidarci nella storia che fa da cornice all'album. Una storia fatta di rabbia, insoddisfazione, rinuncia ma anche di speranza, sicuramente figlia dei tempi che tutti stiamo vivendo, con l'aggravante dei fatti accaduti specificatamente in Armenia verso la fine dello scorso anno. C'è tanta oscurità ma anche luce, con tutte le indubbie difficoltà e sacrifici necessari per raggiungerla. Musicalmente l'album alterna canzoni relativamente "tradizionali" ad un paio di brani più estesi, ed il tutto scorre in modo magistrale. Si va dal folk acustico con fiati di An Old Forgotten Song (con Martina Vesta presente ai cori ed un assolo vocale centrale), alla teatralità della prima metà di My Guardian Angel Pimrose Everdeen, con anche una breve parte cantata da Noïem Thomas, che poi si trasforma in spinto hard rock con l'ottima performance di Ashot Margaryan alla chitarra. Si passa poi dai toni pacati ed emozionanti di Pale From Grey a quelli più acidi e sarcastici di Ignorance, che insieme alla successiva Sincerity, quasi beatlesiana, mettono bene in mostra una innegabile sensibilità ed ispirazione melodica. Il culmine dell'album lo si raggiunge nel lungo ed inarrestabile crescendo di It's Time (questa volta con Vardan Gaboyan alla chitarra), tragica fine del protagonista risollevata dall'inaspettata e breve Wake Up, di nuovo con Martina Vesta alla voce, che dà luce e speranza, come una sorta di nuovo inizio, ben illustrato poi anche dalla conclusiva The New One, epico brano orchestrale interamente strumentale. 

Mikayel compone tutti i brani, canta e suona gran parte degli strumenti, mentre Levon Hakhverdyan si occupa della batteria e delle varie percussioni. Un plauso va alla versatilità ed incisività espressiva del cantato di Mikayel, che se qua e là indubbiamente fa notare l'ovvia ispirazione di Peter Hammill, è innegabile il salto in avanti fatto nel corso dei suoi album, che lo porta qui ad una identità più spiccata e personale, uno stile ormai strettamente e completamente "suo". C'è una bella varietà stilistica nei brani e negli arrangiamenti, e personalmente penso di non aver alcun dubbio nel definire questo album il suo migliore finora, e non posso fare a meno di consigliarlo a chiunque. 

Per maggiori informazioni, per ascoltare l'intero album e magari acquistarlo, vi rimando a Bandcamp.






1 commento:

  1. Grazie mille, caro Simone!
    Le tue parole sono importanti per me non solo perché sei anche un grande musicista e produci musica bellissima, ma perché hai dato una valutazione qualitativa al mio album. Rendermi conto che ho davvero acquisito il mio "stile" mi dà l'ispirazione su cui lavorare!

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