sabato 4 maggio 2019

Alan Parsons - The Secret (2019) Recensione

Erano ormai 15 anni che Alan Parsons non pubblicava musica nuova, e di conseguenza si creò una certa aspettativa dopo l'annuncio di questo lavoro qualche mese fa. Il suo quinto album solista, The Secret, è finalmente uscito, ed io personalmente non so come approcciarlo.
Mi spiego meglio: forse è una cosa ovvia, anzi sicuramente lo è, ma un po' complice la promozione che si vede in giro, un po' proprio visto il nome dell'artista in questione, un po' leggendo i commenti degli ascoltatori, ho come la sensazione che The Secret venga visto da molti come un album dell'Alan Parsons Project. Ovviamente non lo è, e la principale differenza tra la carriera solista di Parsons ed il Project è l'assenza di Eric Wooolfson, che purtroppo è venuto a mancare nel 2009 ma già non collaborava con lui da fine anni '80. Però vedere il nome di Alan Parsons fa subito pensare all'APP, e ad un osservatore poco attento può sembrar difficile concepire una effettiva differenza, magari ignorando l'assenza del compositore principale. Ed infatti sfido chiunque a ricordare uno solo dei quattro album solisti di Parsons che hanno preceduto The Secret... Appunto, la promozione ed i tempi di revival che stiamo vivendo influenzano tantissimo il modo di vedere questo disco.
E non è quindi difficile immaginare che l'album si appoggi pesantemente sullo stile che normalmente si associa all'APP, in particolare dell'epoca di Eye In The Sky, con un focus evidente sulle ballate.
Ovviamente però manca Woolfson, ed essendo Parsons un ottimo ingegnere del suono e produttore ma non certo un gran compositore, non stupisce il sostanzioso elenco di collaboratori in sede di scrittura (una media di tre con punte di cinque nomi per canzone), quasi come in un album pop mainstream qualsiasi degli ultimi 20/30 anni; da quando insomma scrivere canzoni da far passare in radio è diventato frutto di studi e pianificazioni scientifico/matematiche (come ormai stanno imparando a fare anche in altri generi, compreso il prog).
Per fortuna però il risultato riesce ad essere piacevole, con qualche picco sparso. Quello che però lascia un po' perplessi è la decisione di introdurre quello che sostanzialmente è un album di semplice pop con The Sorcerer's Apprentice. Senza dubbio una delle parentesi più curiose ed interessanti dell'album, altro non è che un riarrangiamento dalle tinte "prog" dell'omonimo brano di Paul Dukas, famoso per esser stato usato in Fantasia, e qui arricchito dalla presenza di uno Steve Hackett che sembra voler essere un Brian May. Un inizio molto coinvolgente e riuscito, che però alla luce del resto dell'album, come direbbero gli anglofoni, "sticks out like a sore thumb".
Sì perchè da qui in poi le canzoni si fanno "semplici" sotto ogni punto di vista, facendo sembrare il brano di apertura un'aggiunta posticcia e totalmente fuori contesto, per ottimo che possa essere.
Forse l'unico altro brano che per complessità orchestrale si può in un certo modo avvicinare è One Note Symphony, che intorno ad un linea melodica, appunto, composta da una sola nota, crea intrecci molto efficaci che portano il brano a contendersi il titolo di migliore di The Secret.
Un altro aspetto che questo album ha ereditato da quelli del Project è l'alternanza di cantanti, tutti più o meno validi, compreso lo stesso Parsons che va a coprire toni simili a quelli del compianto Woolfson (senza però essere paragonabile) ad esempio nella bella As Light Falls, e con l'indiscutibile picco di Lou Gramm dei Foreigner in Sometimes. Nel mezzo le ballate non si contano, tra cui la bellissima Soirée Fantastique, dove Parsons e Todd Cooper armonizzano in modo molto efficace, l'orchestrale Years Of Glory con il tipico tono sussurrato di P.J. Olsson (già nella touring band di Parsons) e la conclusiva I Can't Get There From Here. Nel mezzo Requiem e The Limelight Fades Away cercano di dare un pizzico di movimento in più senza però riuscirci appieno. Ed è proprio questo forse uno dei "difetti" dell'album: la mancanza di brio. Le ballate sono belle, certamente, ma si sente la mancanza di quei tocchi magici come ci furono ad esempio in Silence And I che, nonostante fosse anch'essa una ballata, nella parte centrale virava in luoghi totalmente inaspettati fatti di nervosi intrecci sinfonici. Elemento questo presente appunto solo nel già citato brano di apertura, che crea in tipo di aspettative che poi non si avverano. Assenti di conseguenza anche i toni più elettronici "alla Mammagamma", o il brioso pop-rock alla Games People Play. Oltre a questo, sembra quasi che la produzione manchi di quel tipico tocco brillante che tanto contraddistingue le varie opere a nome Parsons, mostrando invece una strana tendenza a far spiccare fin troppo le voci e a lasciare indietro nel mix la parte strumentale, che ne esce di conseguenza come ricoperta da una patina opaca.
The Secret non è un brutto album, anzi credo che sia molto godibile e che meriti considerazione nello stantio mondo musicale attuale, ciò non toglie però una generale sensazione di trovarsi di fronte ad un lavoro un po' studiato a tavolino per piacere ai fan dell'Alan Parsons Project più classico, quelli che conoscono Eye In The Sky, Time, Old And Wise e poco altro per intenderci.
Ed essendo io un fan dell'APP ci casco in pieno e ammetto di apprezzare questo The Secret più di quanto mi sarei aspettato, chiudendo un occhio sugli innegabili difetti.



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