lunedì 15 luglio 2019

King Crimson - Live at Stupinigi Sonic Park, Nichelino - 10/07/2019 (Recensione)

Da qualche anno ormai la nuova formazione dei King Crimson, costantemente oscillante tra 7 ed 8 membri, si cimenta in continui tour caratterizzati da scalette pesantemente sbilanciate verso il passato ma con brani, ovviamente, riarrangiati. Ciò è stato necessario vista la presenza dei tre batteristi Gavin Harrison, Jeremy Stacey e Pat Mastelotto, piazzati in prima fila con alle spalle Rober Fripp, Jakko Jakszyk, Tony Levin e Mel Collins. Per questo tour non è presente Bill Rieflin alle tastiere, causando quindi una redistribuzione di parti da suonare tra gli altri membri ed alcune esclusioni dalla scaletta (su tutte la suite di Lizard).

Si è trattato del primo concerto dei King Crimson per chi scrive, ma diciamo che avendo ascoltato le innumerevoli uscite live degli ultimi anni sapevo a cosa sarei andato incontro, almeno a grandi linee.
Come sempre sono arrivato in anticipo, sulle note di una inaspettata Elektrik suonata al soundcheck, ovviamente ben lontano dagli occhi del pubblico ancora fuori dai cancelli, dall'altro lato della monumentale Palazzina di Caccia d Stupinigi. Al momento di entrare ho avuto come l'impressione che sia più facile introdursi in una banca che ad un concerto de King Crimson. Passi la perquisizione degli zaini ed il divieto di introdurre i più svariati oggetti dall'effettiva o dubbia pericolosità (bottigliette, ombrelli e così via), ma fissarsi anche su dei minuscoli bricchi di tè perchè "possono anch'essi esser lanciati e quindi pericolosi" quando all'interno, per ragioni ecologiche, si vendono bicchieri in plastica rigida che se lanciati sono ben più dolorosi, mi è parso alquanto bizzarro. Senza parlare del fatto che al banco del merchandising tra cofanetti in cd ed il picco assoluto del live a Toronto in vinile quadruplo, le "armi" non mancassero. Ma vabbè, non è che ci si possa aspettare coerenza in un paesello come il nostro, né tanto meno dal signor Fripp.
Una volta dentro si mangia, si beve (acqua ovviamente, non perchè io debba guidare, ma perchè non sono mica mainstream come chi beve birra), decido di acquistare l'Audio Diary 2014-2018 di cui parlerò in una recensione dedicata prossimamente, e si aspetta. In lontananza, vicino al palco, ci sono ancora i felici abbienti che si sono potuti permettere il Royal Package, intenti a chiacchierare con David Singleton e Jeremy Stacey, con Fripp che si affaccia per qualche secondo dal palco a mo di pontefice. Una volta ultimato ciò, dall'impianto si diffonde un particolarmente ossessivo ed irritante suono, non so se opera di Fripp o di chi, mandato in loop per ore ed ore quasi a far venire il mal di testa ancor prima che iniziasse il concerto vero e proprio (grazie mille).

Ma poi il concerto finalmente inizia. Dopo il quasi comico messaggio iniziale che avvisa dell'ormai iconico divieto di fare foto e video ("...and let's have a party! yaayy!"), poche luci, niente effetti scenografici e via con un consueto "brano" delle sole tre batterie (presumo Hell Hounds Of Krim), tra il puro esercizio tecnico e l'esibizione scenografica. Non sarà l'ultima volta in cui incontreremo sezioni di questo tipo durante il concerto, e chi scrive non è un grandissimo fan di tali parti, ma devo ammettere che in questo caso il tutto ben funziona come introduzione al primo vero e proprio brano in scaletta: Larks' Tongues In Aspic, Part One. Ammetto che essendo il mio primo concerto dei King Crimson questo brano era certamente tra quelli che avrei voluto ascoltare, in quanto, a giudicare dai vari live degli ultimi anni, lo reputo uno dei punti più alti di questa formazione. Quindi pelle d'oca fin da subito e la forte ed inspiegabile sensazione che si stia per assistere ad un gran concerto. L'impatto sonoro è devastante senza essere particolarmente fastidioso, tutti gli strumenti sono ben bilanciati, e non penso di esagerare dicendo che come resa sonora sia stato uno dei migliori, se non il migliore, concerto a cui abbia mai assistito. Le tre batterie rinforzano la resa senza mai prendere del tutto il sopravvento, in un equilibrio che sicuramente si è fatto via via migliore negli anni (non nascondo che i primi album live di questa formazione non mi avevano entusiasmato, e ho notato netti miglioramenti dal 2016/2017). L'assolo centrale del fu violino di Cross è qui ovviamente affidato a Mel Collins, che si lascia andare anche ad una citazione del nostro circense inno nazionale, prima del magnifico crescendo finale che porta il brano alla conclusione.
Neanche il tempo di riprendersi che arriva Cirkus (o Circus come lo riportano nelle loro scalette?), altro brano che ha trovato nuova vita in questa formazione. Jakko se la cava egregiamente sia alla chitarra (che replica fedelmente le parti dell'album) che alla voce checché se ne dica, specialmente nel repertorio di quell'epoca, ed il suono dei due (?) Mellotron campionati si staglia poderoso in mezzo ai vorticosi interventi delle batterie ed i sempre creativi interventi di Collins. A questo punto chi scrive era già più che soddisfatto, quando ecco l'inconfondibile inizio di Moonchild con un suono spettacolare di Fripp nella melodia introduttiva. Ottima esecuzione, a mio parere un po' penalizzata dalle improvvisazioni della coda conclusiva prima di Levin, poi di Fripp ed infine di Jeremy Stacey al piano. Se Fripp ha saputo essere interessante nel suo lancinante assolo anche in un contesto di totale solitudine, lo stesso non riesco a dire di Stacey e, specialmente, di Levin, che sembravano suonare più o meno a caso. Ovviamente a seguire arriva The Court Of The Crimson King proprio come nell'album, e anche qui l'esecuzione è stata molto fedele, con l'aggiunta, inaspettata per molti del pubblico, della coda. Drumzilla, altro intermezzo a tre batterie, precede poi la nuova versione di Frame By Frame, introdotta da una sezione inedita con Jakko e Levin che armonizzano un testo nuovo su base sostanzialmente percussiva (tra l'altro confondendo molti, me compreso, che proprio non riuscivano a riconoscere di che brano si trattasse), prima di passare al pezzo vero e proprio. In generale l'impatto è impressionante, specialmente nelle sezioni strumentali (nonostante dei discutibili interventi al flauto di Mel che a volte ci stavano ed altre un po' meno e la ovvia minore velocità rispetto alle versioni del 1996), e anche Jakko alla voce se la cava bene, con l'unico punto incerto nelle note più alte, accuratamente aggirate diminuendone parzialmente l'efficacia. Fripp ovviamente in quanto non umano ha eseguito le sezioni strumentali senza alcuna sbavatura. Larks' Tongues In Aspic, Part Two segue e lo fa con una potenza indescrivibile. Il ruolo delle tre batterie qui funziona molto meglio di, ad esempio, una Red, ormai purtroppo cestinata dalle scalette, dove il ritmo veniva spezzato in modo non riuscitissimo. Qui si mantiene tutta la carica e si aggiunge ulteriore spinta, con ovviamente un Mel Collins inferocito al sax al posto del violino.
In totale contrasto ecco arrivare Islands, che negli ultimi anni si è pian piano confermata come una delle punte di diamante di questa formazione, con un Jakko totalmente a suo agio vocalmente ed in generale una resa misurata, intensa ed emozionante. E come dimenticare l'arrivo della fresca brezza serale più o meno intorno al verso "Cradle the wind to my island"...

Dopo una pausa centrale di circa venti minuti la band torna sul palco con la seconda new entry della serata, anch'essa da Discipline: The Sheltering Sky. Ammetto di sapere di essere in netta minoranza quando dico che forse è il brano che meno apprezzo da quell'album, ma riconosco anche che in generale ne ha sempre guadagnato dal vivo, fin dagli anni '80. E nonostante la formazione sia ora molto diversa e si senta quel senso di "work in progress" del nuovo arrangiamento, si è trattato comunque di una efficace performance con un Fripp particolarmente lucido a duellare con Collins, e con dei tanto perfetti quanto azzardati interventi jazzati al piano di Stacey, che fanno quasi pensare al Keith Tippett della Cat Food, tra l'altro aggiunta in questo tour ma non suonata in questo specifico concerto. Segue l'ormai consueta The ConstruKction Of Light, senza troppe sorprese, che introduce le tendenze più "metalliche" e via via più pesanti della seconda metà della scaletta, probabilmente in voluto contrasto con la più classicheggiante prima metà. Ed infatti segue Neurotica, che se da un lato perde le frenetiche strofe di Belew mantenendo solo il ritornello cantato, dall'altro guadagna una potenza che solo una formazione di questo genere sa dare, sia per gli inediti incroci di batteria che per il sempre creativo Mel Collins al sax, il quale ho come l'impressione che abbia praticamente carta bianca in questa band, più di ogni altro membro.
Indiscipline poi pare ormai essere irrinunciabile negli ultimi anni, in quanto perfetta palestra per i tre batteristi, che si alternano in modo sempre più frenetico in quella che sembra essere una "sfida all'ultimo colpo" particolarmente coinvolgente, tanto per loro quanto per il pubblico. Si conferma poi la pluricitata potenza sonora dell'intera band nel riff principale, rimangono a chi scrive alcuni dubbi sul riarrangiamento della parte vocale da parte di Jakko, pur essendo un lavoro di gran classe, e soprattutto non si può rimanere indifferenti all'entrata della tagliente chitarra di Fripp dopo la prima strofa. Dopo il conclusivo "mmi piacceh", non poteva mancare Epitaph, necessaria oasi di pace nel mezzo dell'apoteosi sonora di questa seconda parte di concerto. Ottima versione, anche questa piuttosto fedele all'originale e con un crescendo finale particolarmente efficace. Ci si avvia verso la conclusione con la devastante doppietta Radical Action II e Level Five (o LTIA V che dir si voglia, che neanche loro sembrano decidersi definitivamente), brani di epoche e formazioni diverse ma non così distanti in natura, tanto da non notarsi quasi la fine dell'uno e l'inizio dell'altro (mi è stato anche confermato dalla mia ragazza lì presente che non conosceva benissimo Level Five). Sicuramente entrambi i brani meritano ampiamente il loro posto in scaletta, in quanto apice assoluto di potenza sonora prima della consueta conclusione di concerto affidata ai classici per eccellenza dei King Crimson. Si inizia ovviamente da Starless, summa assoluta di tutto ciò che furono i Crimson anni '70, oltre che brano che negli anni ha finalmente trovato la sua dimensione in questa nuova veste, dopo un inizio (nei tour 2014/15) che sembrava non ingranare mai del tutto. Tanta emozione nella enfatica sezione iniziale, riuscitissimo il crescendo centrale con il consueto cambio di luci in rosso, e potentissimo il finale, con un Levin finalmente in grado di spingere a dovere, quasi al livello dell'inarrivabile Wetton, quasi a far tremare il terreno sotto ai piedi.
Dopo una brevissima pausa arriva l'atteso bis con l'ormai obbligatoria 21st Century Schizoid Man con assolo centrale di Gavin Harrison, e via tutti in piedi in quello che finalmente sembra quasi il "party" citato da Fripp nel messaggio registrato a inizio concerto, checché ne dicano certi fan che credevano o speravano di essere in teatro.

Dopo due ore e tre quarti è difficile chiedere di più, e credo di non esagerare dicendo che credo di aver assistito ad uno dei concerti più belli della mia vita finora, con ovviamente qualche imperfezione qua e là (dopotutto è proprio quello che rende la musica interessante), ma comunque con una resa difficilmente eguagliabile da chiunque altro, che piaccia o meno.
Ci sarebbe però da spendere due parole sul pubblico. Perché se da un lato è ovvia la presenza dei fan più accaniti, dall'altra, visto il contesto, non è difficile comprendere la presenza di persone che magari conoscono solamente In The Court, e che di conseguenza non hanno magari mai assistito ad un loro concerto e non sanno "come funziona". E proprio questo ha dato via ad un tragicomico contrasto tra chi sembrava essere ad una qualunque festa della birra, finendo per alzarsi continuamente anche durante brani importanti per bere o altro, chi prontamente ignorava il divieto di fare foto e video e veniva ripreso dalla security (non raramente aizzata dal proverbiale dito indice del sempre attento Fripp), e chi invece sembrava essere sempre sul punto di fulminare chiunque osasse azzardare un qualunque movimento di mani o bocca durante il concerto (insomma quelli che affettuosamente chiamo nazi-fan). Interessante poi che coloro i quali ho visto infrangere il divieto, e quindi fare foto o altro con i telefono, fossero tutti "over 50", con buona pace delle critiche nei confronti della "generazione degli smartphone" a cui apparterrebbe il sottoscritto (che tra l'altro non è affatto d'accordo con il divieto in questione, ma una regola è una regola). In aggiunta, poi, ho trovato ironico il fatto che personalmente abbia trovato decisamente più fastidiosa la presenza della security che si aggirava tra i posti rispetto alla presenza di telefoni in aria.
Insomma tra controlli fuori e security dentro si è trattato di uno dei concerti più blindati ed eccessivamente paranoici in natura a cui io abbia mai assistito, e non saprei dire se si tratti solamente di un segno dei tempi che cambiano o sia solo il solito Fripp.
A parte questo l'organizzazione è stata ottima, così come il concerto, che per via della sua natura complessa porta quasi a volerne vedere altri, per potersi concentrare su ulteriori elementi tra i molteplici che caratterizzano un repertorio, una band, ed un concerto più unici che rari.

Per qualche foto decisamente migliore delle mie, consiglio di fare un giro sul Road Diary di Tony Levin: https://tonylevin.com/road-diaries/king-crimson-2019-europe-tour/torino

Nessun commento:

Posta un commento